IL GIUDICE DI PACE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza.
                               F a t t o
   All'udienza del 15 dicembre 1995 venivano in discussione le cause -
 precedentemente  riunite  ai  sensi  dell'art.  274  c.p.c. - n. 289,
 promossa da Onorati Rina, n. 313, promossa  da  Quartale  Donato,  n.
 1439,  promossa da Gambino Aldo e n. 1820, promossa da Calatri Elena,
 con ricorsi in opposizione al decreto del Ministro  per  la  funzione
 pubblica,  che infliggeva loro una sanzione amministrativa pecuniaria
 per violazione  dell'ordinanza  del  2  giugno  1992,  che  ai  sensi
 dell'art.    8,  legge  n.  146/1990,  imponeva  la precettazione dei
 docenti per lo svolgimento delle operazioni di scrutini finali.
   Nei ricorsi, Onorati e Quartale sollevavano  formalmente  questione
 di legittimita' costituzionale dell'art. 1, secondo comma, lettera d)
 legge   n.  146/1990  per  violazione  degli  artt.  40  e  97  della
 Costituzione,  e  Gambino  e   Calatri   sostenevano,   nei   motivi,
 l'incostituzionalita'  degli  artt.  1  e  2 della predetta legge, in
 relazione agli artt. 3 e 40 della Costituzione.
   Il giudice di pace, visti gli  atti,  respingeva  le  eccezioni  di
 illegittimita'  costituzionale  sollevate dagli opponenti e, ai sensi
 dell'art. 23 legge  n.  87/1953,  sollevava  d'ufficio  questione  di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 1, secondo comma, dell'art. 2,
 secondo e terzo comma e dell'art. 8, secondo comma,  della  legge  n.
 146/1990,  in  relazione  agli  artt.  39, 40 e 3 della Costituzione,
 sotto profili diversi sia da quelli prospettati dagli opponenti,  sia
 da  quelli  gia'  esaminati  e  decisi dalla Corte costituzionale, e,
 pertanto, sospendeva il giudizio ed ordinava  la  trasmissione  degli
 atti alla Corte costituzionale.
                             D i r i t t o
   Per  quanto  concerne  la reiezione delle questioni di legittimita'
 costituzionale sollevate dagli opponenti, si osserva quanto segue:
     a) gli opponenti Onorati e Quartale  sostengono  che  l'ordinanza
 del  Ministro  per  la funzione pubblica si deve ritenere palesemente
 illegittima e lesiva del diritto di  sciopero  per  violazione  della
 legge  n.  146/1990,  con  riferimento  agli  artt.  40  e  97  della
 Costituzione, con conseguente illegittimita' del decreto opposto.
   In particolare, gli opponenti ritengono che la  legge  n.  146/1990
 sia  stata interpretata, con l'ordinanza del Ministro per la funzione
 pubblica, in senso difforme della voluntas, del legislatore, di  modo
 che  la  legge  predetta  apparirebbe non piu' rivolta a contemperare
 l'esercizio del diritto di  sciopero  con  i  diritti  della  persona
 costituzionalmente  tutelati,  bensi', in palese violazione dell'art.
 40  della  Costituzione,  a  declassare  il  diritto   di   sciopero,
 vietandone  addirittura  l'esercizio quanto possa arrecare un qualche
 disagio.  La tesi, cosi' formulata, e'  infondata:  dall'esame  della
 giurisprudenz   a costituzionale risulta come sia stata costantemente
 riconosciuta la possibilita' di particolari limitazioni  del  diritto
 di   sciopero,   relativamente   agli  addetti  ai  servizi  pubblici
 essenziali, proprio in ragione della  tutela  di  interessi  generali
 assolutamente  preminenti, che trovano diretta protezione in principi
 consacrati dalla Costituzione (sent. n. 123/1962), ovverosia  in  una
 tutela  che  attiene  alla  soddisfazione  di interessi assolutamente
 essenziali (sent. n. 124/1962) o di valori fondamentali  legati  alla
 integrita'  della  vita  e della personalita' dei singoli, principi e
 limitazioni, cioe', diretti ad evitare la compromissione di  funzioni
 considerate  essenziali per il loro carattere di preminente interesse
 generale   (sentenze   nn.  31/1969,  290/1974,  222/1976,  125/1980,
 165/1983).  Circa il merito della questione, si ricorda che la  Corte
 di cassazione ha affermato che "non puo' sostenersi che le operazioni
 degli   scrutini  e  degli  esami  costituiscano,  nell'ambito  della
 pubblica istruzione, prestazioni  di  minore  importanza,  in  quanto
 scrutini  ed  esami  integrano  oggettivamente  il momento conclusivo
 della didattica e, attraverso la  verifica  dell'apprendimento  e  la
 certificazione  abilitante,  costituiscono  il  necessario  e  logico
 epilogo di tutta la programmazione annuale, che  impegna  la  massima
 responsabilita'  dei  docenti  e degli studenti e, indirettamente, le
 attese della vita e dell'economia delle famiglie, non certo  estranee
 al  servizio"  (All.  n.  25 dei documenti depositati dall'Avvocatura
 Generale dello Stato).
   Infine,  non  viene  fornita  alcuna  motivazione  in  ordine  alla
 presunta violazione dell'art. 97 della Costituzione;
     b)  gli  opponenti  Gambino  e Calatri sostengono, in primis, che
 l'art. 1 legge n. 146/1990, mentre si  presenta  ampio  e  per  certi
 versi  addirittura eccessivo, ricomprendendo servizi che non appaiono
 in senso stretto essenziali, ma semmai di utilita' sociale,  come  ad
 esempio  lo  svolgimento  degli scrutini finali, peraltro non precisa
 nell'ambito  dei  singoli  servizi  i  criteri  per  identificare  le
 prestazioni   indispensabili,   che   vengono  invece  affidati  alla
 contrattazione collettiva  dal  successivo  art.  2.    Tale  rinvio,
 secondo  gli  opponenti,  e'  talmente  ampio da ledere la riserva di
 legge prevista dall'art.  40  della  Costituzione,  facendo  dubitare
 della  costituzionalita' della legge stessa.  Anche se ictu oculi non
 appare  manifestamente  infondata,  la  questione   di   legittimita'
 costituzionale   dell'art.   1,   nella  parte  in  cui  rinvia  alla
 contrattazione  collettiva,  di  cui  al  successivo   art.   2,   la
 individuazione  delle  prestazioni  indispensabili, e' generica e nel
 contempo apodittica in  quanto  non  suffrata,  come  necessario,  da
 adeguata  motivazione.  In secondo luogo, gli opponenti ritengono che
 sembra venir meno il diritto di eguaglianza, data  la  disparita'  di
 trattamento  tra  i  lavoratori  aderenti  alle  OO.SS.  maggiormente
 rappresentantive ed in quanto tali ammesse al tavolo delle trattative
 e gli altri lavoratori che in dette OO.SS. non si riconoscono e dalle
 quali non si sentono rappresentati.   La  questione  e'  erroneamente
 posta  nei  suoi  termini  concettuali  perche',  cosi' come e' stata
 formulata, la sperequazione tra lavoratori iscritti o non alle OO.SS.
 maggiormente rappresentative trova  il  suo  momento  genetico  nelle
 disposizioni  di  cui  alla  legge  n. 93/1983, la legittimita' delle
 quali e' estranea al presente  giudizio  Comunque,  la  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.    2,  legge  n. 146/1990, in
 relazione agli artt. 3 e 40 della Costituzione, per i suoi  impliciti
 profili, da quella sollevata d'ufficio da questo giudice.  Per quanto
 concerne   la  questione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata
 d'ufficio, si ritiene necessario precisare,  preliminarmente,  quanto
 segue.   Il sistema sanzionatorio della legge n. 146/1990 prevede per
 lavorator  i che esercitano il diritto di  sciopero  nell'ambito  dei
 servizi pubblici essenziali:
     a)   all'art.   4,  sanzioni  disciplinari,  anche  di  carattere
 pecuniario,  proporzionate   alla   gravita'   dell'infrazione,   per
 violazione  delle  disposizioni di cui all'art. 2, primo comma, primo
 periodo (preavviso minimo ed indicazione della durata dell'astensione
 dai   lavoro)   e   all'art.  2,  terzo  comma  (effettuazione  delle
 prestazioni  indispensabili,  rispetto  delle   modalita'   e   delle
 procedure  di  erogazione  e  delle altre misure di cui al precedente
 comma 2);
     b) all'art. 9, una sanzione amministrativa  pecuniaria  per  ogni
 giorno  di  inosservanza  delle disposizioni contenute nell'ordinanza
 emanata ai sensi del precedente art. 8, per garantire le  prestazioni
 indispensabili  quando  esiste  un fondato pericolo di un pregiudizio
 grave  ed  imminente  ai  diritti  della  persona  costituzionalmente
 garantiti,   a   causa  del  mancato  funzionamento  dei  servizi  di
 preminente   interesse   generale,   conseguente    alle    modalita'
 dell'astensione collettiva dal lavoro.
   Da  sottolineare  che il predetto art. 8 e' strettamente correlato,
 in rapporto di mutua dipendenza, con l'art. 2: infatti, non configura
 una autonoma fattispecie, cioe' un modello di  comportamento  al  cui
 concreto   realizzarsi   seguono   determinati   effetti,   ma  rende
 obbligatorie (la cosidetta precettazione) le prestazioni  individuate
 come indispensabili dall'art. 2, secondo comma.
   Quindi,  in  ambedue  le previsioni, la pretesa sanzionatoria trova
 per tabulas il suo presupposto sostanziale nelle disposizioni di  cui
 all'art.   2.     L'assunto,  oltre  a  rispondere  ad  una  corretta
 ermeneutica degli artt. 1, secondo comma,  seconda  parte  del  primo
 periodo,  2,  secondo  terzo  e quarto, ottavo e nono comma, legge n.
 146/1990, e' coonestato dalla realta' fattuale, cioe' dagli  atti  di
 causa:
     l'ordinanza  emanata  in  forza  dell'art.  8,  nelle premesse si
 richiama esplicitamente, fra l'altro, agli artt. 1, 2, 4, 8 e 9 ed al
 protocollo d'intesa del 25 luglio  1991,  concernente  la  disciplina
 pattizia  sui  servizi  pubblici  essenziali  per  il  personale  del
 comparto Scuola - Protocollo stipulato  dalla  parte  pubblica  e  da
 alcune OO.SS. in attesa del rinnovo del contratto all'epoca scaduta e
 nell'articolato   precisa   che  in  caso  di  violazione  delle  sue
 disposizioni si applicano agli inadempienti non solo le  sanzioni  di
 cui all'art. 9 ma anche quelle di cui all'art. 4.
     nella  comparsa di costituzione e risposta, l'Avvocatura generale
 dello Stato afferma che le astensioni  collettive  di  cui  e'  causa
 "venivano   effettuate   con   modalita'   contrastanti   con  quanto
 pattiziamente stabilito dalle parti contrapposte, donde la necessita'
 indifferibile  di  ricorrere  all'emanazione  dell'ordinanza  di  cui
 all'art.  8,  legge  n.  146/1990".    Cio' premesso, si illustrano i
 motivi per i quali questo giudice ritiene che l'art.1, secondo  comma
 2, seconda parte del primo periodo, l'art. 2, secondo e terzo comma e
 l'art. 8, secondo comma, della legge n. 146/1990 appaiono sospetti di
 illegittimita'  costituzionale  in  riferimento:  A)  all'art. 39, B)
 all'art. 40 e C) all'art. 3 della Costituzione.
   A. - L'art. 39 della Costituzione dispone  al  terzo  comma  che  i
 sindacati  registrati,  che  hanno  personalita'  giuridica, possono,
 rappresentati  unitariamente  in  proporzione  dei   loro   iscritti,
 stipulare  contratti  collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria
 per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto  si
 riferisce.    Orbene,  risulta  chiaramente  dal dettato dell'art. 2,
 secondo comma al quale rinvia il precedente art. 1, secondo comma che
 nell'esercizio  del  diritto  di  sciopero   nei   servizi   pubblici
 essenziali,  la  fonte  regolatrice delle prestazioni indispensabili,
 delle modalita' e procedure di erogazione e delle  misure  dirette  a
 consentire  gli  adempimenti di cui al comma 1 dello stesso articolo,
 non e' la legge, bensi il contratto collettivo  o  l'accordo  di  cui
 alla  legge  n.  93/1983,  con  la conseguenza che detti contratti ed
 accordi vengono surrettiziamente ad acquisire,  in  forza  di  legge,
 efficacia erga omnes per la parte de qua.
   L'assunto, d'altronde, e' esplicitamente asseverato dal terzo comma
 dello  stesso  art.  2  (i  lavoratori  che  esercitano il diritto di
 sciopero   sono   tenuti    all'effettuazione    delle    prestazioni
 indispensabili,  nonche'  al  rispetto delle modalita' e procedure di
 erogazione e delle altre misure  di  cui  al  secondo  comma)  e  dal
 secondo  comma  del  correlato art. 8 (... l'auorita' di cui al primo
 comma... emana ordinanza motivata diretta a  gantire  le  prestazioni
 indispensabili).
   Si e' detto prima surrettiziamente perche', allo stato, OO.SS.  non
 hanno  personalita' giuridica, ma sono semplici associazioni di fatto
 e gli accordi da loro concordati, comunque  voglia  classificarsi  il
 decreto   presidenziale   che   li  rende  esecutivi  (autorizzativo,
 ricognitivo, di ratifica, di controllo politico o quanto  altro)  non
 sono  atti  che hanno valore legislativo (e, quindi, non suscettibili
 di controllo da parte della Corte costituzionale,  bensi  di  ciascun
 giudice  chiamato  ad applicarli) o regolamentare, e sotto il profilo
 giuridico possono dispiegare efficacia soltanto nei  confronti  degli
 iscritti alle OO.SS.  stipulanti.
   Pertanto,  l'art.  2,  secondo  e  terzo  comma e l'art. 8, secondo
 comma, si appalesano in contrasto con l'art.  39  della  Costituzione
 perche'  estendono  l'efficacia  dei  contatti  o  accordi  anche  ai
 lavoratori non iscritti  alle  OO.SS.  stipulanti  e  addirittura  ai
 lavoratori  autonomi  (ultima  parte del secondo comma, dell'art. 8).
 Ha osservato la Corte costituzionale che "l'art. 39 pone due principi
 che possono intitolarsi  alla  liberta'  sindacale  ed  all'autonomia
 collettiva  professionale.  Con  il primo si garantiscono la liberta'
 dei cittadini e la liberta' delle associazioni che ne  derivano;  con
 l'altro,  si  garantisce  alle  associazioni  sindacali di regolare i
 conflitti di interesse che  sorgono  tra  le  contrapposte  categorie
 mediante   il   contratto,   al  quale  poi  si  riconosce  efficacia
 obbligatoria erga omnes una volta che sia stipulato in conformita' di
 una determinata  procedura  e  da  soggetti  forniti  di  determinati
 requisiti.    Una  legge,  la  quale  cercasse  di  conseguire questo
 medesimo risultato  della  dilatazione  ed  estensione,  che  e'  una
 tendenza  propria  della natura del contratto collettivo, a tutti gli
 appartenenti alla categoria alla quale il contratto si riferisce,  in
 maniera  diversa  da  quella  stabilita  dal  precetto costituzionale
 sarebbe palesemente illegittima" (sent. 106/1962).
   Da quanto sopra consegue che e' fondata  la  sussistenza  di  gravi
 dubbi  sulla  costituzionalita' non solo dell'art. 1, secondo comma e
 dell'art. 2, secondo comma, ma anche del  terzo  comma  dello  stesso
 art.  2 e del secondo comma dell'art. 8, che impongono le prestazioni
 indispensabili individuate dai contratti o dagli accordi  a  tutti  i
 lavoratori,  anche a quelli iscritti alle OO.SS. che non hanno potuto
 partecipare alla contrattazione o non hanno voluto, per  la  liberta'
 garantita   dal   primo   comma   dell'art.   39,   partecipare  alla
 contrattazione o firmare un  accordo  non  ritenuto  soddisfacente  e
 persino  ai  lavoratori  autonomi  (ultima  parte  del  secondo comma
 dell'art. 8).   In particolare,  per  quanto  concerne  l'art.  8  si
 osserva  che  se  e'  giusto ed indispensabile che in caso di fondato
 pericolo di un  pregiudizio  grave  ed  imminente  ai  diritti  della
 persona  costituzionalmente  tutelati,  l'autorita' competente adotti
 provvedimenti urgenti (la precettazione), non e' pero' legittimo  che
 obblighi  i  lavoratori  all'effettuazione di prestazioni individuate
 come indispensabili non da atti di normazione primaria o quanto  meno
 secondaria,  bensi'  da  contratti  o  accordi che non hanno forza di
 legge e che non possono acquisirla se non attraverso il  procedimento
 di cui all'art. 39.  Ne' puo' sostenersi, a contrariis, che il rinvio
 ai  contratti  colletti    vi  o  agli accordi ha un valore meramente
 strumentale: al di la delle  intenzioni  che  il  legislatore  si  e'
 attribuito  o  che al legislatore vengono attribuite, non v'e' dubbio
 alcuno  che  sotto  il  profilo  sostanziale  oltreche'  formale,  la
 volonta'  che  determina  in  concreto  il contenuto della disciplina
 relativa, fra l'altro, alle prestazioni indispensabili e' quella  dei
 contratti  o  degli  accordi,  che pur non essendo stati stipulati in
 conformita'  a  quanto  disposto  dall'art.  39  della  Costituzione,
 cionostante  acquistano,  per la parte de qua, efficacia obbligatoria
 erga omnes.
   Si  impone,  infine,  un'ultima  considerazione  di   pregnante   e
 significativo rilievo.  Con il rinnovo dei contratti e degli accordi,
 la individuazione delle prestazioni indispensabili, delle modalita' e
 procedure  di  erogazione  e  delle  altre  misure di cui all'art. 2,
 secondo comma puo' subire modifiche.
   Ne consegue che il combinato disposto di cui  all'art.  1,  secondo
 comma,  all'art.  2,  secondo  e  terzo  comma ed all'art. 8, secondo
 comma, attribuisce efficacia erga omnes, sempre per la parte  de  qua
 non  soltanto ai contratti ed accordi vigenti al momento dell'entrata
 in vigore della legge n. 146/1990, ma anche ai contratti  ed  accordi
 successivi.
   E  valga  il  vero: le prestazioni indispensabili rese obbligatorie
 dall'ordinanza opposta, emanata  ai  sensi  dell'art.  8  piu'  volte
 citato, sono quelle individuate dal protocollo d'intesa del 25 luglio
 1991,  posteriore  quindi  alla legge n. 146/1990.  L'attribuzione di
 efficacia erga omnes a contratti, accordi o protocol  li successivi -
 venendo meno i caratteri della transitorieta' e della  eccezionalita'
 che,  al  limite,  potrebbero consentire di ritenere insussistente la
 violazione del precetto costituzionale - finisce  col  sostituire  al
 sistema previsto dalla Costituzione un altro sistema, arbitrariamente
 costruito  dal  legislatore  e,  pertanto,  illegittimo  (cfr.  sent.
 106/1962, precedentemente citata).
   B. - L'art. 40 dispone una riserva di legge per la regolamentazione
 dell'esercizio del diritto di sciopero.
   Come e' noto, la riserva  di  legge,  che  rileva  grandemente  nel
 rapporto  tra  liberta'  ed  autorita',  risponde  ad una funzione di
 garanzia dei cittadini, garanzia che si raggiunge con  l'affidare  la
 disciplina di particolari rapporti ad un organo, quale il Parlamento,
 di  diretta  derivazione  popolare  e  come  tale meglio idoneo a far
 corrispondere  la  regolamentazione  del  sistema  dei  limiti  delle
 liberta'  individuali  alle  reali  esigenze  della  realta', secondo
 criteri di giustizia distributiva.   E' superfluo,  in  questa  sede,
 soffermarsi   sulla   distinzione  tra  riserva  assoluta  e  riserva
 relativa,  giacche'  nel  processo  di  concretizzazione  della norma
 costituzionale la legge che interviene nella materia riservata lascia
 necessariamente uno spazio piu' o meno esteso di scelta discrezionale
 all'applicatore del diritto, per cui tutte le riserve sono  relative,
 salvo  verificare di volta in volta i margini di discrezionalita' che
 la legge puo' validamente lasciare  agli  organi  deputati  alla  sua
 applicazione,  siano  essi  amministrativi  o  giurisdizionali.   Ha,
 infatti, sostenuto la Corte costituzionale che per  il  rispetto  del
 principio  costituzionale  la riserva di legge non esige che l'intera
 disciplina  dei  rapporti  venga  regolata  con  atto  normativo  del
 Parlamento,  dovendosi  ritenere  sufficiente  che questo determini i
 criteri, le direttive idonee a contenere  in  un  determinato  ambito
 delineao l'esercizio tanto dell'attivita' normativa secondaria quanto
 di  quella  particolare e concreta di esecuzione affidata al Governo,
 evitando che esse si svolgano  in  modo  assolutamente  discrezionale
 (sentenze  nn.  5/1962, 1/1963, 4/1992, 388/1992).  In altri termini,
 sempre secondo la Corte, viene consentito l'esercizi   o non  di  una
 discrezionalita'  indiscriminata  ed  incontrollabile,  bensi' di una
 discrezionalita' "tecnica" con il che  viene  esclusa  la  violazione
 della  riserva  relativa alla legge (per tutte, sentenze nn. 38/1966,
 94/1971).
   Cio'  premesso,  si  osserva  che  proprio  nella  regolamentazione
 dell'esercizio  del  diritto  di  sciopero, il ruolo della riserva di
 legge assume una valenza particolare.  Il legislatore, infatti, deve,
 nel rispetto dell'armonica  unita'  del  sistema  posto  dalla  legge
 fondamentale   della   Repubblica,   dare   attuazione   al  precetto
 costituzionale in guisa tale da contemperare il  conseguimento  delle
 finalita'   del  diritto  di  sciopero  con  il  perseguimento  delle
 finalita' di altri diritti costituzionalmente tutelati.
   Orbene, la legge 146/1990, nel dettare la disciplina dell'esercizio
 del  diritto  di  sciopero  nei  servizi  pubblici   essenziali,   ha
 completamente  disatteso  i postulati della Corte costituzione, donde
 il sospetto  grave  e  fondato  della  legittimita'  di  alcuni  suoi
 articoli.  Invero, per garantire sia l'effetivita' dell'esercizio del
 diritto  di  sciopero, sia, nel loro contenuto sostanziale, i diritti
 della persona costituzionalmente tutelati, e necessaria la fissazione
 di principi e regole di carattere generale nonche' la  determinazione
 delle   prestazioni  ritenute  indispensabili  e  delle  modalita'  e
 procedure da seguire, in caso di conflitto  collettivo,  in  ciascuno
 dei  servizi  pubblici essenziali.  Le prestazioni indispensabili, le
 modalita' e le procedure  di  cui  sopra  per  la  loro  complessita'
 tecnica non possono ovviamente essere disciplinate direttamente dalla
 legge,   ma,   in  conformita'  al  principio  generale  univocamente
 affermato  dalla  giurisprudenza  costituzionale,  demandate,  previa
 determinazione  di  principi  e direttive, alla normazione secondaria
 del Governo, al quale viene cosi' attribuito  l'esercizio  di  quella
 discrezionalita'  tecnica  che esclude la violazione della riserva di
 legge.
   Invece di seguire questa via, l'unica percorribile  a  giudizio  di
 qu'esto giudice, via che oltre ad essere pienamente corretta sotto il
 profilo  giuridico,  risponde  anche  a  principi di ragionevolezza e
 coerenza tra fine  perseguito  e  strumenti  normativi  concretamente
 utilizzati,  la legge n. 146/1990 con il combinato disposto dell'art.
 1,  secondo  comma  ed  art.  2,  secondo  comma  ha  attribuito   la
 determinazione  (o  la  individuazione,  termine  identico  sotto  il
 profilo  teleologico)  delle  prestazioni  indispensabili   e   delle
 modalita'  e  procedure  di  erogazione e delle altre misure non alla
 normazione secondaria del Governo, ma ai contratti collettivi ed agli
 accordi di cui alla legge n. 93/1983.
   Pertanto, i predetti articoli si appalesano illegittimi nella parte
 de qua, innanzi tutto sotto il profilo formale, perche' ponendosi  in
 palese   ed   immotivato  contrasto  con  le  pronunzie  della  Corte
 costituzionale in tema di riserva  di  legge,  hanno  attribuito  una
 funzione  di  notevole  e  pregnante  rilievo non ad atti conseguenti
 all'espletamento di una normazione secondaria del Governo, bensi'  ad
 atti che sono il risultato della contrattazione collettiva.  Ne' puo'
 sostenersi, ex adverso, che tale attribuzione trova giustific  azione
 nella  natura  di  norma tecnica di attuazione, che nella fattispecie
 avrebbe la individuazione da parte  dei  contratti  e  degli  accordi
 delle prestazioni indispensabili, nonche' delle modalita' e procedure
 da  seguire  nell'esercizio  del  diritto  di  sciopero  nei  servizi
 pubblici essenziali.
   L'obiezione e' da respingere decisamente perche' anche le norme  di
 carattere   tecnico   che   consentono   l'attuazione   del  disposto
 legislativo sono di competenza  del  Governo  e  non  possono  essere
 attribuite   ad   altri   soggetti,   soprattutto   quando   incidono
 profondamente sul concreto svolgimento dell'esercizio del diritto  di
 sciopero,  come  per  altro  e' dimostrato ampiamente dall'esperienza
 anche recente.
   In secondo luogo, i predetti articoli sempre per la parte  de  qua,
 si   appalesano  illegittimi  anche  sotto  il  profilo  sostanziale.
 Invero, gli accordi in questione hanno un contenuto settoriale  (come
 risulta  evidente dalla lettura della legge n. 93/1983) e pertanto in
 grado di tutelare i diritti e  gli  interessi  dei  lavoratori  e  le
 finalita'  proprie  di ciascuna amministrazione o azienda stipulante,
 ma non per la loro intrinseca limitazione sotto il profilo ontologico
 oltre che giuridico -  di  garantire,  come  recita  il  primo  comma
 dell'art.   1 della legge n. 146/1990, il godimento dei diritti della
 persona, costituzionalmente tutelati, alla vita,  alla  salute,  alla
 liberta'  di  circolazione, all'assistenza e previdenza sociale, alla
 istruzione ed alla liberta' di comunicazione.
   Diritti che spettano a tutti gli  uomini  e  che  trovano  il  loro
 fondamento,   il   presupposto   sostanziale,   nell'art.   2   della
 Costituzione, il quale - come affermato all'assemblea  costituente  -
 "riconosce  in  chiave  giuridica  la  precedenza  sostanziale  della
 persona umana, intesa nella completezza dei suoi valori  e  dei  suoi
 bisogni, non solo materiali ma anche spirituali".
   E'  ovvio pertanto, che la tutela dei diritti fondamentali non puo'
 - per intrinseci motivi di carattere  giuridico  oltre  che  etico  -
 essere  attribuita, neppure in via mediata e concorrente a quelle che
 nel linguaggio corrente vengono definite forze sociali, nel  caso  di
 specie  le  OO.SS., le quali, nonostante le indubbie benemerenze, non
 hanno  un  definito  ruolo  istituzionale,  non   rappresentano   gli
 interessi   generali   dei   cittadini,   ma  quelli  particolari  di
 determinate categorie di lavoratori e,  pertanto,  nel  procedimento,
 sia pure concordato di indiduazione delle prestazioni indispensabili,
 delle modalita' e procedure di erogazione e delle altre misure di cui
 al  secondo  comma dell'art. 2 non sono in posizione di terzieta', di
 super  partes,  come  invece  e' assolutamente indispensabile per una
 disciplina obiettiva della materia.
   Una disciplina, cioe', che nell'armonica attuazione  del  complesso
 dei principi costituzionali, possa effettivamente contemperare, al di
 sopra  di  ogni  interesse  di parte, opposte esigenze: da una parte,
 l'esercizio del  diritto  di  sciopero,  dall'altra,  la  tutela  dei
 diritti   fondamentali   della  persona.    Ne'  puo'  sostenersi,  a
 contrariis, che una funzione super partes e' svolta dalla commissione
 di garanzia istituita dall'art. 12, legge n. 146/1990,  per  valutare
 l'idoneita'  delle  misure volte ad assicurare il contemperamento del
 diritto di sciopero  con  il  godimento  dei  diritti  della  persona
 costituzionalmente  tutelati.  Come stabilito dal successivo art. 13,
 la commissione di cui sopra se  non  ritiene  idonee  le  prestazioni
 individuate  come indispensabili ai sensi del secondo comma dell'art.
 2 puo' sottoporre alle parti una proposta sull'insieme delle predette
 prestazioni, formulare una sua proposta, emanare un lodo  sul  merito
 del   conflitto,   esprimere  il  proprio  giudizio  sulle  questioni
 interpreative od applicative dei contenuti degli accordi per la parte
 di propria competenza, ecc., ma non puo'  assolutamente  adottare  un
 provvedimento  cogente.   Si rileva, a tale proposito, come la stessa
 Corte costituzionale ha affermato che la commissione di  garanzia  e'
 un  organo  che  non  esercita  alcuna  funzione  che  concerna la la
 regolamentazione,  l'organizzazione  o   l'erogazione   dei   servizi
 pubblici  essenziali, ma che e' "neutrale" rispetto a questi aspetti.
 La  commissione  di  garanzia  si  inserisce  nella  dialettica   del
 conflitto fra il datore di lavoro e le forze sindacali per verificare
 l'esatta applicazione della legge regolatrice del diritto di sciopero
 in questo "settore" (sent. n. 32/1991).
   C. - L'art. 3 della Costituzione recita al primo comma:
   Tutti i cittadini hanno pari dignita' sociale e sono eguali davanti
 alla  legge,  senza  distinzione  di  sesso,  di razza, di lingua, di
 religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e  sociali.
 Il  predetto  comma appare violato, per ambedue i principi enunciati,
 da quegli articoli della  legge  n.  146/1990,  per  i  quali  questo
 giudice,  con  la  presente ordinanza, solleva d'ufficio questione di
 legittimita' costituzionale.
   Invero, il lavoratore che - per motivi ideologici  o  pragmatici  -
 nell'esercizio  positivo del diritto di liberta' sindacale si iscrive
 ad una organizzazione sindacale non  maggiormente  rappresentativa  e
 quindi   non   ammessa   alla   contrattazione   collettiva,  o  che,
 nell'esercizio negativo del  predetto  diritto,  non  si  iscrive  ad
 alcuna  organizzazione  sindacale,  e' obbligato, in casi di sciopero
 nei servizi pubblici essenziali, ad effettuare quelle prestazioni che
 sono ritenute indispensabili non, direttamente e concretamente, dalla
 legge, bensi' da accordi concordati da  OO.SS.,  alle  quali  non  e'
 iscritto.  Pertanto, il predetto lavoratore - che ha modellato la sua
 condotta  all'esercizio,  in  un  senso  o nell'altro, di un diritto,
 quello  della  liberta'  di  associazione  sindacale  tutelato  dalla
 Costituzione  -  viene  leso  nella sua dignita' personale e sociale,
 perche', obbligandolo all'osservanza di  una  normativa  contrattuale
 alla  quale  e'  completamente  estraneo, non gli viene riconosciuta,
 come sarebbe stato doveroso,  l'effettiva  diversita'  di  condizioni
 personali  e  sociali,  garantita  dalla Costituzione.   Quanto sopra
 detto con riferimento al principio della  pari  dignita'  sociale  ha
 valore  anche  per il correlato principio della eguaglianza di fronte
 alla legge.
   Ha  sostenuto  la  Corte  costituzionale  che  il  principio  della
 eguaglianza  non  va  inteso  nel  senso che il legislatore non possa
 dettare norme diverse per regolare  situazioni  che  ritiene  diverse
 adeguando  la  disciplina  giuridica agli svariati aspetti della vita
 sociale (per tutte, sentenze nn. 3/1957, 64/1963).
   Il principio di eguaglianza, cioe', non deve essere inteso in senso
 meccanico e livellatore, perche' sussiste la possibilita' di  emanare
 norme  differenziate  quando la disparita' sia fondata su presupposti
 logici ed obiettivi che  ne  giustifichino  razionalmente  l'adozione
 (sentenze  nn.  68/1961,  7/1963, 168/1963, 39/1964, 40/1965).  E non
 ve' dubbio che gli opponenti di cui al presente giudizio  si  trovano
 in  una  situazione  notevolmente  differenziata, nella forma e nella
 sostanza, rispetto a quella  propria  dei  lavoratori  iscritti  alle
 OO.SS.  stipulanti  e, pertanto, possono essere obbligati, in caso di
 sciopero nei servizi pubblici essenziali, ad  effettuare  determinate
 prestazioni   solamente   se   il   loro   contenuto  e'  determinato
 direttamente da una fonte istituzionale (la  normazione  primaria  o,
 come  detto  sub  B)  quella  secondaria), ma non da un procedimento,
 quello dell'art.  2. secondo comma, nel quale non assumono, in  alcun
 modo la veste di parte.
   La  complessita'  delle motivazioni addotte a sostegno dei dubbi di
 legittimita'  costituzionale  delle   norme,   come   in   precedenza
 precisate,  della  legge  n.  146/1990, impongono a questo giudice di
 prendere in considerazione,  per  completezza  della  prospettazione,
 anche  tre  eventuali  ulteriori  obiezioni,  che al riguardo possono
 essere sollevate.   E precisamente  una  di  carattere  generale  (la
 prima)  e  le  altre  con riferimento ad alcune pronunzie della Corte
 costituzionale.
   1. - L'art. 2, legge n. 146/1990 trova la sua legittimita', formale
 e sostanziale, nel rinvio di cui al precedente art. 1.
   L'obiezione non puo' essere considerata  pertinente,  in  quanto  i
 rinvii  che in un testo legislativo vengono effettuati da un articolo
 ad altro articolo, da un comma ad altro comma dello stesso o di altro
 articolo rispondono  semplicemente  alle  esigenze  di  una  corretta
 tecnica legislativa.
   Ne  consegue  che,  al di la' dell'aspetto formale del procedimento
 tecnico  utilizzato,  la  legittimita'  della  norma  di  rinvio   e'
 subordinata  alla  legittimita'  della  norma alla quale si rinvia, e
 quando quest'ultima appare viziata da  illegittimita'  costituzionale
 (come  in  precedenza  detto)  altrettanto viziata appare la norma di
 rinvio.
   2. - I contratti collettivi e gli accordi, anche se  non  stipulati
 in  conformita' all'art. 39 della Costituzione, di fatto estendono la
 loro efficacia a tutti gli appartenenti alle categorie alle quali  il
 contratto  o l'accordo si riferisce, in forza di quel consenso che e'
 a fondamento della consuetudine (Gestattungstorie).
   Questa obiezione non puo' essere accolta  perche'  l'osservanza  di
 fatto di un contratto od accordo da parte dei lavoratori non iscritti
 alle  OO.SS.  stipulanti non comporta, di per se' stessa, l'efficacia
 erga  omnes  del  contratto  o  dell'accordo,   giacche'   le   norme
 costituzionali  al riguardo si pongono come limiti interni ed esterni
 insuperabili e giuridicamente vincolanti, anche nei  confronti  della
 consuetudine.
   Se e' vero, come affermato dalla Corte costituzionale, che la legge
 n.  93/1983  ha  operato  un  "delicato  bilanciamento"  tra  diversi
 interessi costituzionali (principio della contrattazione  collettiva,
 dell'autonomia  legislativa  regionale  e  riserva di legge statale),
 conferendo agli accordi collettivi tra  amministrazioni  pubbliche  e
 sindacati   "un   particolare   valore  ed  una  specifica  efficacia
 direttiva,  consentendo  agli  stessi  di  assolvere  alla  complessa
 funzione   politica   e  costituzionale  loro  demandata"  (sent.  n.
 1001/1988), e'  altrettanto  vero  che  il  predetto  "bilanciamento"
 riguarda   unicamente   i   rapporti   tra   OO.SS.      e   pubblica
 amministrazione, tra Stato e regioni,  ma  non  e'  assolutamente  in
 grado  di  attribuire efficacia erga omnes agli accordi non stipulati
 in conformita' alle norme costituzionali, perche',  se  cosi'  fosse,
 anche  la  legge  n.  93/1983 sarebbe il legittima nelle parti con le
 quali, in modo surrettizio, conferisce  tale  efficacia  ai  predetti
 accordi.
   3.  - La Corte costituzionale ha affermato che la legge n. 146/1990
 "affida alla responsabilita' delle  parti  sociali,  in  un  definito
 quadro  procedurale,  la  tutela  delle situazioni costituzionalmente
 garantite, in ragione  delle  quali  soltanto  puo'  essere  limitato
 l'esercizio  del  diritto  di  sciopero" (sent. n. 57/1995): pertanto
 sarebbero legittimi gli artt. 1 e 2 della predetta legge, anche nelle
 parti di cui questo giudice sospetta l'illegittimita'.
   La tesi della  Corte  e'  pienamente  condivisibile  in  relazione,
 pero',  al  solo  contesto  nell'ambito del quale e' stata enunciata,
 cioe' nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 4,  legge
 n.  146/1990 in relazione agli artt. 3, 24 e 39 della Costituzione, a
 conclusione   del  quale  la  Corte  ha  dichiarato  l'illegittimita'
 costituzionale dell'art. 4,  secondo  comma,  della  legge  predetta,
 nella  parte  in  cui  non prevede che la sospensione dei benefici di
 ordine  patrimoniale  ivi  prevista  avvenga  su  indicazione   della
 commissione  di  cui all'art.   12 e la illegittimita' costituzionale
 dell'art. 13, lettera c), nella parte  in  cui  non  prevede  che  la
 segnalazione  della commissione sia effettuata anche ai fini previsti
 dal secondo comma dell'art. 4.
   Non possono, pero' essere condivise le conclusioni che erroneamente
 potrebbero dedursi dalla tesi della Corte, la quale e' riferibile  ad
 un  momento  procedimentale  che,  come  si legge nella parte motiva,
 "risponde - prima ancora che ad una esigenza di  imparzialita'  e  di
 buon  andamento  -  alla  stessa  ratio  legis,  in  quanto  idoneo a
 scongiurare un possibile conflitto  tra  organizzazioni  sindacali  e
 datori  di  lavoro", ma non puo' trovare applicazione nella questione
 di legittimita' sollevata da questo giudice, la quale ha per  oggetto
 altri  articoli  della  legge  n.  146/1990 ed e' prospettata con una
 angolazione totalmente diversa da quella  sulla  quale  si  fonda  la
 citata sentenza.
   Inoltre,  non  si  puo'  non  sottolineare  che dal complesso della
 problematica  affrontata  dalla  Corte   nella   motivazione   emerge
 chiaramente   che   l'espressione   usata  (tutela  delle  situazioni
 costituzionalmente garantite, in ragione delle  quali  soltanto  puo'
 essere  limitato  l'esercizio  del  diritto di sciopero) si riferisce
 esclusivamente ai rapporti  tra  datori  di  lavoro  ed  associazioni
 sindacali.
   Si   legge,   infatti,   sempre   nella   parte   motiva,  che  "il
 coinvolgimento  dei   soggetti   interessati   ed   il   momento   di
 partecipazione che ne deriva si pongono come fase indefettibile di un
 procedimento  che  puo' concludersi abilitando il datore di lavoro ad
 applicare una misura afflittiva".
   Risulta  evidente,  pertanto,  che  la  tutela   delle   situazioni
 costituzionalmente  garantite  cui si riferisce la Corte nella citata
 sentenza,  e'  completamente  estranea  all'oggetto  della   presente
 ordinanza,  con  la  quale  si  sollevano  dubbi  sulla  legittimita'
 costituzionale  di  determinate  norme  con  le  quali  si   vorrebbe
 perseguire  il contemperamento dell'esercizio del diritto di sciopero
 con  il  godimento  dei  diritti  della  persona,  costituzionalmente
 tutelati,  alla  vita,  alla salute, alla liberta' ed alla sicurezza,
 alla liberta' di circolazione, all'assistenza e  previdenza  sociale,
 all'istruzione ed alla liberta' di comunicazione.
   E  questo  contemperamento  non  puo'  essere  affidato  alle parti
 sociali nell'accezione usata dalla Corte costituzionale nella  citata
 sentenza,  perche'  ricomprende  soltanto  i  soggetti  che stipulano
 l'accordo e non anche gli utenti dei pubblici servizi, per i quali e'
 prevista soltanto l'audizione.
   In un  regime  democratico,  quale  e'  quello  del  nostro  paese,
 soltanto  gli  organi  costituzionali  che  rappresentano la volonta'
 popolare (il Parlamento, direttamente, ed il Governo, indirettamente,
 secondo l'attuale ordinamento della Repubblica) possono realizzare la
 tutela delle situazioni costituzionalmente garantite (il  diritto  di
 sciopero ed il godimento dei diritti della persona) con una normativa
 primaria  o  secondaria  rispettosa  dei  principi fondamentali e dei
 diritti e doveri dei  cittadini,  quelli  relativi  sia  ai  rapporti
 civili   che   ai   rapporti   etico-sociali,   di   cui  alla  Carta
 costituzionale.
   La questione di legittimimita' costituzionale  sollevata  d'ufficio
 con  la  presente  ordinanza e' rilevante, in quanto pregiudiziale ai
 fini   della   decisione,   perche'   l'eventuale   declaratoria   di
 incostituzionalita'  escluderebbe  la responsabilita' degli opponenti
 in ordine all'illecito amministrativo loro addebitato.