IL GIUDICE DI PACE Ha pronunciato la seguente ordinanza. F a t t o All'udienza del 15 dicembre 1995 venivano in discussione le cause - precedentemente riunite ai sensi dell'art. 274 c.p.c. - n. 289, promossa da Onorati Rina, n. 313, promossa da Quartale Donato, n. 1439, promossa da Gambino Aldo e n. 1820, promossa da Calatri Elena, con ricorsi in opposizione al decreto del Ministro per la funzione pubblica, che infliggeva loro una sanzione amministrativa pecuniaria per violazione dell'ordinanza del 2 giugno 1992, che ai sensi dell'art. 8, legge n. 146/1990, imponeva la precettazione dei docenti per lo svolgimento delle operazioni di scrutini finali. Nei ricorsi, Onorati e Quartale sollevavano formalmente questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, secondo comma, lettera d) legge n. 146/1990 per violazione degli artt. 40 e 97 della Costituzione, e Gambino e Calatri sostenevano, nei motivi, l'incostituzionalita' degli artt. 1 e 2 della predetta legge, in relazione agli artt. 3 e 40 della Costituzione. Il giudice di pace, visti gli atti, respingeva le eccezioni di illegittimita' costituzionale sollevate dagli opponenti e, ai sensi dell'art. 23 legge n. 87/1953, sollevava d'ufficio questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, secondo comma, dell'art. 2, secondo e terzo comma e dell'art. 8, secondo comma, della legge n. 146/1990, in relazione agli artt. 39, 40 e 3 della Costituzione, sotto profili diversi sia da quelli prospettati dagli opponenti, sia da quelli gia' esaminati e decisi dalla Corte costituzionale, e, pertanto, sospendeva il giudizio ed ordinava la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. D i r i t t o Per quanto concerne la reiezione delle questioni di legittimita' costituzionale sollevate dagli opponenti, si osserva quanto segue: a) gli opponenti Onorati e Quartale sostengono che l'ordinanza del Ministro per la funzione pubblica si deve ritenere palesemente illegittima e lesiva del diritto di sciopero per violazione della legge n. 146/1990, con riferimento agli artt. 40 e 97 della Costituzione, con conseguente illegittimita' del decreto opposto. In particolare, gli opponenti ritengono che la legge n. 146/1990 sia stata interpretata, con l'ordinanza del Ministro per la funzione pubblica, in senso difforme della voluntas, del legislatore, di modo che la legge predetta apparirebbe non piu' rivolta a contemperare l'esercizio del diritto di sciopero con i diritti della persona costituzionalmente tutelati, bensi', in palese violazione dell'art. 40 della Costituzione, a declassare il diritto di sciopero, vietandone addirittura l'esercizio quanto possa arrecare un qualche disagio. La tesi, cosi' formulata, e' infondata: dall'esame della giurisprudenz a costituzionale risulta come sia stata costantemente riconosciuta la possibilita' di particolari limitazioni del diritto di sciopero, relativamente agli addetti ai servizi pubblici essenziali, proprio in ragione della tutela di interessi generali assolutamente preminenti, che trovano diretta protezione in principi consacrati dalla Costituzione (sent. n. 123/1962), ovverosia in una tutela che attiene alla soddisfazione di interessi assolutamente essenziali (sent. n. 124/1962) o di valori fondamentali legati alla integrita' della vita e della personalita' dei singoli, principi e limitazioni, cioe', diretti ad evitare la compromissione di funzioni considerate essenziali per il loro carattere di preminente interesse generale (sentenze nn. 31/1969, 290/1974, 222/1976, 125/1980, 165/1983). Circa il merito della questione, si ricorda che la Corte di cassazione ha affermato che "non puo' sostenersi che le operazioni degli scrutini e degli esami costituiscano, nell'ambito della pubblica istruzione, prestazioni di minore importanza, in quanto scrutini ed esami integrano oggettivamente il momento conclusivo della didattica e, attraverso la verifica dell'apprendimento e la certificazione abilitante, costituiscono il necessario e logico epilogo di tutta la programmazione annuale, che impegna la massima responsabilita' dei docenti e degli studenti e, indirettamente, le attese della vita e dell'economia delle famiglie, non certo estranee al servizio" (All. n. 25 dei documenti depositati dall'Avvocatura Generale dello Stato). Infine, non viene fornita alcuna motivazione in ordine alla presunta violazione dell'art. 97 della Costituzione; b) gli opponenti Gambino e Calatri sostengono, in primis, che l'art. 1 legge n. 146/1990, mentre si presenta ampio e per certi versi addirittura eccessivo, ricomprendendo servizi che non appaiono in senso stretto essenziali, ma semmai di utilita' sociale, come ad esempio lo svolgimento degli scrutini finali, peraltro non precisa nell'ambito dei singoli servizi i criteri per identificare le prestazioni indispensabili, che vengono invece affidati alla contrattazione collettiva dal successivo art. 2. Tale rinvio, secondo gli opponenti, e' talmente ampio da ledere la riserva di legge prevista dall'art. 40 della Costituzione, facendo dubitare della costituzionalita' della legge stessa. Anche se ictu oculi non appare manifestamente infondata, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, nella parte in cui rinvia alla contrattazione collettiva, di cui al successivo art. 2, la individuazione delle prestazioni indispensabili, e' generica e nel contempo apodittica in quanto non suffrata, come necessario, da adeguata motivazione. In secondo luogo, gli opponenti ritengono che sembra venir meno il diritto di eguaglianza, data la disparita' di trattamento tra i lavoratori aderenti alle OO.SS. maggiormente rappresentantive ed in quanto tali ammesse al tavolo delle trattative e gli altri lavoratori che in dette OO.SS. non si riconoscono e dalle quali non si sentono rappresentati. La questione e' erroneamente posta nei suoi termini concettuali perche', cosi' come e' stata formulata, la sperequazione tra lavoratori iscritti o non alle OO.SS. maggiormente rappresentative trova il suo momento genetico nelle disposizioni di cui alla legge n. 93/1983, la legittimita' delle quali e' estranea al presente giudizio Comunque, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, legge n. 146/1990, in relazione agli artt. 3 e 40 della Costituzione, per i suoi impliciti profili, da quella sollevata d'ufficio da questo giudice. Per quanto concerne la questione di legittimita' costituzionale sollevata d'ufficio, si ritiene necessario precisare, preliminarmente, quanto segue. Il sistema sanzionatorio della legge n. 146/1990 prevede per lavorator i che esercitano il diritto di sciopero nell'ambito dei servizi pubblici essenziali: a) all'art. 4, sanzioni disciplinari, anche di carattere pecuniario, proporzionate alla gravita' dell'infrazione, per violazione delle disposizioni di cui all'art. 2, primo comma, primo periodo (preavviso minimo ed indicazione della durata dell'astensione dai lavoro) e all'art. 2, terzo comma (effettuazione delle prestazioni indispensabili, rispetto delle modalita' e delle procedure di erogazione e delle altre misure di cui al precedente comma 2); b) all'art. 9, una sanzione amministrativa pecuniaria per ogni giorno di inosservanza delle disposizioni contenute nell'ordinanza emanata ai sensi del precedente art. 8, per garantire le prestazioni indispensabili quando esiste un fondato pericolo di un pregiudizio grave ed imminente ai diritti della persona costituzionalmente garantiti, a causa del mancato funzionamento dei servizi di preminente interesse generale, conseguente alle modalita' dell'astensione collettiva dal lavoro. Da sottolineare che il predetto art. 8 e' strettamente correlato, in rapporto di mutua dipendenza, con l'art. 2: infatti, non configura una autonoma fattispecie, cioe' un modello di comportamento al cui concreto realizzarsi seguono determinati effetti, ma rende obbligatorie (la cosidetta precettazione) le prestazioni individuate come indispensabili dall'art. 2, secondo comma. Quindi, in ambedue le previsioni, la pretesa sanzionatoria trova per tabulas il suo presupposto sostanziale nelle disposizioni di cui all'art. 2. L'assunto, oltre a rispondere ad una corretta ermeneutica degli artt. 1, secondo comma, seconda parte del primo periodo, 2, secondo terzo e quarto, ottavo e nono comma, legge n. 146/1990, e' coonestato dalla realta' fattuale, cioe' dagli atti di causa: l'ordinanza emanata in forza dell'art. 8, nelle premesse si richiama esplicitamente, fra l'altro, agli artt. 1, 2, 4, 8 e 9 ed al protocollo d'intesa del 25 luglio 1991, concernente la disciplina pattizia sui servizi pubblici essenziali per il personale del comparto Scuola - Protocollo stipulato dalla parte pubblica e da alcune OO.SS. in attesa del rinnovo del contratto all'epoca scaduta e nell'articolato precisa che in caso di violazione delle sue disposizioni si applicano agli inadempienti non solo le sanzioni di cui all'art. 9 ma anche quelle di cui all'art. 4. nella comparsa di costituzione e risposta, l'Avvocatura generale dello Stato afferma che le astensioni collettive di cui e' causa "venivano effettuate con modalita' contrastanti con quanto pattiziamente stabilito dalle parti contrapposte, donde la necessita' indifferibile di ricorrere all'emanazione dell'ordinanza di cui all'art. 8, legge n. 146/1990". Cio' premesso, si illustrano i motivi per i quali questo giudice ritiene che l'art.1, secondo comma 2, seconda parte del primo periodo, l'art. 2, secondo e terzo comma e l'art. 8, secondo comma, della legge n. 146/1990 appaiono sospetti di illegittimita' costituzionale in riferimento: A) all'art. 39, B) all'art. 40 e C) all'art. 3 della Costituzione. A. - L'art. 39 della Costituzione dispone al terzo comma che i sindacati registrati, che hanno personalita' giuridica, possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce. Orbene, risulta chiaramente dal dettato dell'art. 2, secondo comma al quale rinvia il precedente art. 1, secondo comma che nell'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, la fonte regolatrice delle prestazioni indispensabili, delle modalita' e procedure di erogazione e delle misure dirette a consentire gli adempimenti di cui al comma 1 dello stesso articolo, non e' la legge, bensi il contratto collettivo o l'accordo di cui alla legge n. 93/1983, con la conseguenza che detti contratti ed accordi vengono surrettiziamente ad acquisire, in forza di legge, efficacia erga omnes per la parte de qua. L'assunto, d'altronde, e' esplicitamente asseverato dal terzo comma dello stesso art. 2 (i lavoratori che esercitano il diritto di sciopero sono tenuti all'effettuazione delle prestazioni indispensabili, nonche' al rispetto delle modalita' e procedure di erogazione e delle altre misure di cui al secondo comma) e dal secondo comma del correlato art. 8 (... l'auorita' di cui al primo comma... emana ordinanza motivata diretta a gantire le prestazioni indispensabili). Si e' detto prima surrettiziamente perche', allo stato, OO.SS. non hanno personalita' giuridica, ma sono semplici associazioni di fatto e gli accordi da loro concordati, comunque voglia classificarsi il decreto presidenziale che li rende esecutivi (autorizzativo, ricognitivo, di ratifica, di controllo politico o quanto altro) non sono atti che hanno valore legislativo (e, quindi, non suscettibili di controllo da parte della Corte costituzionale, bensi di ciascun giudice chiamato ad applicarli) o regolamentare, e sotto il profilo giuridico possono dispiegare efficacia soltanto nei confronti degli iscritti alle OO.SS. stipulanti. Pertanto, l'art. 2, secondo e terzo comma e l'art. 8, secondo comma, si appalesano in contrasto con l'art. 39 della Costituzione perche' estendono l'efficacia dei contatti o accordi anche ai lavoratori non iscritti alle OO.SS. stipulanti e addirittura ai lavoratori autonomi (ultima parte del secondo comma, dell'art. 8). Ha osservato la Corte costituzionale che "l'art. 39 pone due principi che possono intitolarsi alla liberta' sindacale ed all'autonomia collettiva professionale. Con il primo si garantiscono la liberta' dei cittadini e la liberta' delle associazioni che ne derivano; con l'altro, si garantisce alle associazioni sindacali di regolare i conflitti di interesse che sorgono tra le contrapposte categorie mediante il contratto, al quale poi si riconosce efficacia obbligatoria erga omnes una volta che sia stipulato in conformita' di una determinata procedura e da soggetti forniti di determinati requisiti. Una legge, la quale cercasse di conseguire questo medesimo risultato della dilatazione ed estensione, che e' una tendenza propria della natura del contratto collettivo, a tutti gli appartenenti alla categoria alla quale il contratto si riferisce, in maniera diversa da quella stabilita dal precetto costituzionale sarebbe palesemente illegittima" (sent. 106/1962). Da quanto sopra consegue che e' fondata la sussistenza di gravi dubbi sulla costituzionalita' non solo dell'art. 1, secondo comma e dell'art. 2, secondo comma, ma anche del terzo comma dello stesso art. 2 e del secondo comma dell'art. 8, che impongono le prestazioni indispensabili individuate dai contratti o dagli accordi a tutti i lavoratori, anche a quelli iscritti alle OO.SS. che non hanno potuto partecipare alla contrattazione o non hanno voluto, per la liberta' garantita dal primo comma dell'art. 39, partecipare alla contrattazione o firmare un accordo non ritenuto soddisfacente e persino ai lavoratori autonomi (ultima parte del secondo comma dell'art. 8). In particolare, per quanto concerne l'art. 8 si osserva che se e' giusto ed indispensabile che in caso di fondato pericolo di un pregiudizio grave ed imminente ai diritti della persona costituzionalmente tutelati, l'autorita' competente adotti provvedimenti urgenti (la precettazione), non e' pero' legittimo che obblighi i lavoratori all'effettuazione di prestazioni individuate come indispensabili non da atti di normazione primaria o quanto meno secondaria, bensi' da contratti o accordi che non hanno forza di legge e che non possono acquisirla se non attraverso il procedimento di cui all'art. 39. Ne' puo' sostenersi, a contrariis, che il rinvio ai contratti colletti vi o agli accordi ha un valore meramente strumentale: al di la delle intenzioni che il legislatore si e' attribuito o che al legislatore vengono attribuite, non v'e' dubbio alcuno che sotto il profilo sostanziale oltreche' formale, la volonta' che determina in concreto il contenuto della disciplina relativa, fra l'altro, alle prestazioni indispensabili e' quella dei contratti o degli accordi, che pur non essendo stati stipulati in conformita' a quanto disposto dall'art. 39 della Costituzione, cionostante acquistano, per la parte de qua, efficacia obbligatoria erga omnes. Si impone, infine, un'ultima considerazione di pregnante e significativo rilievo. Con il rinnovo dei contratti e degli accordi, la individuazione delle prestazioni indispensabili, delle modalita' e procedure di erogazione e delle altre misure di cui all'art. 2, secondo comma puo' subire modifiche. Ne consegue che il combinato disposto di cui all'art. 1, secondo comma, all'art. 2, secondo e terzo comma ed all'art. 8, secondo comma, attribuisce efficacia erga omnes, sempre per la parte de qua non soltanto ai contratti ed accordi vigenti al momento dell'entrata in vigore della legge n. 146/1990, ma anche ai contratti ed accordi successivi. E valga il vero: le prestazioni indispensabili rese obbligatorie dall'ordinanza opposta, emanata ai sensi dell'art. 8 piu' volte citato, sono quelle individuate dal protocollo d'intesa del 25 luglio 1991, posteriore quindi alla legge n. 146/1990. L'attribuzione di efficacia erga omnes a contratti, accordi o protocol li successivi - venendo meno i caratteri della transitorieta' e della eccezionalita' che, al limite, potrebbero consentire di ritenere insussistente la violazione del precetto costituzionale - finisce col sostituire al sistema previsto dalla Costituzione un altro sistema, arbitrariamente costruito dal legislatore e, pertanto, illegittimo (cfr. sent. 106/1962, precedentemente citata). B. - L'art. 40 dispone una riserva di legge per la regolamentazione dell'esercizio del diritto di sciopero. Come e' noto, la riserva di legge, che rileva grandemente nel rapporto tra liberta' ed autorita', risponde ad una funzione di garanzia dei cittadini, garanzia che si raggiunge con l'affidare la disciplina di particolari rapporti ad un organo, quale il Parlamento, di diretta derivazione popolare e come tale meglio idoneo a far corrispondere la regolamentazione del sistema dei limiti delle liberta' individuali alle reali esigenze della realta', secondo criteri di giustizia distributiva. E' superfluo, in questa sede, soffermarsi sulla distinzione tra riserva assoluta e riserva relativa, giacche' nel processo di concretizzazione della norma costituzionale la legge che interviene nella materia riservata lascia necessariamente uno spazio piu' o meno esteso di scelta discrezionale all'applicatore del diritto, per cui tutte le riserve sono relative, salvo verificare di volta in volta i margini di discrezionalita' che la legge puo' validamente lasciare agli organi deputati alla sua applicazione, siano essi amministrativi o giurisdizionali. Ha, infatti, sostenuto la Corte costituzionale che per il rispetto del principio costituzionale la riserva di legge non esige che l'intera disciplina dei rapporti venga regolata con atto normativo del Parlamento, dovendosi ritenere sufficiente che questo determini i criteri, le direttive idonee a contenere in un determinato ambito delineao l'esercizio tanto dell'attivita' normativa secondaria quanto di quella particolare e concreta di esecuzione affidata al Governo, evitando che esse si svolgano in modo assolutamente discrezionale (sentenze nn. 5/1962, 1/1963, 4/1992, 388/1992). In altri termini, sempre secondo la Corte, viene consentito l'esercizi o non di una discrezionalita' indiscriminata ed incontrollabile, bensi' di una discrezionalita' "tecnica" con il che viene esclusa la violazione della riserva relativa alla legge (per tutte, sentenze nn. 38/1966, 94/1971). Cio' premesso, si osserva che proprio nella regolamentazione dell'esercizio del diritto di sciopero, il ruolo della riserva di legge assume una valenza particolare. Il legislatore, infatti, deve, nel rispetto dell'armonica unita' del sistema posto dalla legge fondamentale della Repubblica, dare attuazione al precetto costituzionale in guisa tale da contemperare il conseguimento delle finalita' del diritto di sciopero con il perseguimento delle finalita' di altri diritti costituzionalmente tutelati. Orbene, la legge 146/1990, nel dettare la disciplina dell'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, ha completamente disatteso i postulati della Corte costituzione, donde il sospetto grave e fondato della legittimita' di alcuni suoi articoli. Invero, per garantire sia l'effetivita' dell'esercizio del diritto di sciopero, sia, nel loro contenuto sostanziale, i diritti della persona costituzionalmente tutelati, e necessaria la fissazione di principi e regole di carattere generale nonche' la determinazione delle prestazioni ritenute indispensabili e delle modalita' e procedure da seguire, in caso di conflitto collettivo, in ciascuno dei servizi pubblici essenziali. Le prestazioni indispensabili, le modalita' e le procedure di cui sopra per la loro complessita' tecnica non possono ovviamente essere disciplinate direttamente dalla legge, ma, in conformita' al principio generale univocamente affermato dalla giurisprudenza costituzionale, demandate, previa determinazione di principi e direttive, alla normazione secondaria del Governo, al quale viene cosi' attribuito l'esercizio di quella discrezionalita' tecnica che esclude la violazione della riserva di legge. Invece di seguire questa via, l'unica percorribile a giudizio di qu'esto giudice, via che oltre ad essere pienamente corretta sotto il profilo giuridico, risponde anche a principi di ragionevolezza e coerenza tra fine perseguito e strumenti normativi concretamente utilizzati, la legge n. 146/1990 con il combinato disposto dell'art. 1, secondo comma ed art. 2, secondo comma ha attribuito la determinazione (o la individuazione, termine identico sotto il profilo teleologico) delle prestazioni indispensabili e delle modalita' e procedure di erogazione e delle altre misure non alla normazione secondaria del Governo, ma ai contratti collettivi ed agli accordi di cui alla legge n. 93/1983. Pertanto, i predetti articoli si appalesano illegittimi nella parte de qua, innanzi tutto sotto il profilo formale, perche' ponendosi in palese ed immotivato contrasto con le pronunzie della Corte costituzionale in tema di riserva di legge, hanno attribuito una funzione di notevole e pregnante rilievo non ad atti conseguenti all'espletamento di una normazione secondaria del Governo, bensi' ad atti che sono il risultato della contrattazione collettiva. Ne' puo' sostenersi, ex adverso, che tale attribuzione trova giustific azione nella natura di norma tecnica di attuazione, che nella fattispecie avrebbe la individuazione da parte dei contratti e degli accordi delle prestazioni indispensabili, nonche' delle modalita' e procedure da seguire nell'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali. L'obiezione e' da respingere decisamente perche' anche le norme di carattere tecnico che consentono l'attuazione del disposto legislativo sono di competenza del Governo e non possono essere attribuite ad altri soggetti, soprattutto quando incidono profondamente sul concreto svolgimento dell'esercizio del diritto di sciopero, come per altro e' dimostrato ampiamente dall'esperienza anche recente. In secondo luogo, i predetti articoli sempre per la parte de qua, si appalesano illegittimi anche sotto il profilo sostanziale. Invero, gli accordi in questione hanno un contenuto settoriale (come risulta evidente dalla lettura della legge n. 93/1983) e pertanto in grado di tutelare i diritti e gli interessi dei lavoratori e le finalita' proprie di ciascuna amministrazione o azienda stipulante, ma non per la loro intrinseca limitazione sotto il profilo ontologico oltre che giuridico - di garantire, come recita il primo comma dell'art. 1 della legge n. 146/1990, il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla liberta' di circolazione, all'assistenza e previdenza sociale, alla istruzione ed alla liberta' di comunicazione. Diritti che spettano a tutti gli uomini e che trovano il loro fondamento, il presupposto sostanziale, nell'art. 2 della Costituzione, il quale - come affermato all'assemblea costituente - "riconosce in chiave giuridica la precedenza sostanziale della persona umana, intesa nella completezza dei suoi valori e dei suoi bisogni, non solo materiali ma anche spirituali". E' ovvio pertanto, che la tutela dei diritti fondamentali non puo' - per intrinseci motivi di carattere giuridico oltre che etico - essere attribuita, neppure in via mediata e concorrente a quelle che nel linguaggio corrente vengono definite forze sociali, nel caso di specie le OO.SS., le quali, nonostante le indubbie benemerenze, non hanno un definito ruolo istituzionale, non rappresentano gli interessi generali dei cittadini, ma quelli particolari di determinate categorie di lavoratori e, pertanto, nel procedimento, sia pure concordato di indiduazione delle prestazioni indispensabili, delle modalita' e procedure di erogazione e delle altre misure di cui al secondo comma dell'art. 2 non sono in posizione di terzieta', di super partes, come invece e' assolutamente indispensabile per una disciplina obiettiva della materia. Una disciplina, cioe', che nell'armonica attuazione del complesso dei principi costituzionali, possa effettivamente contemperare, al di sopra di ogni interesse di parte, opposte esigenze: da una parte, l'esercizio del diritto di sciopero, dall'altra, la tutela dei diritti fondamentali della persona. Ne' puo' sostenersi, a contrariis, che una funzione super partes e' svolta dalla commissione di garanzia istituita dall'art. 12, legge n. 146/1990, per valutare l'idoneita' delle misure volte ad assicurare il contemperamento del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Come stabilito dal successivo art. 13, la commissione di cui sopra se non ritiene idonee le prestazioni individuate come indispensabili ai sensi del secondo comma dell'art. 2 puo' sottoporre alle parti una proposta sull'insieme delle predette prestazioni, formulare una sua proposta, emanare un lodo sul merito del conflitto, esprimere il proprio giudizio sulle questioni interpreative od applicative dei contenuti degli accordi per la parte di propria competenza, ecc., ma non puo' assolutamente adottare un provvedimento cogente. Si rileva, a tale proposito, come la stessa Corte costituzionale ha affermato che la commissione di garanzia e' un organo che non esercita alcuna funzione che concerna la la regolamentazione, l'organizzazione o l'erogazione dei servizi pubblici essenziali, ma che e' "neutrale" rispetto a questi aspetti. La commissione di garanzia si inserisce nella dialettica del conflitto fra il datore di lavoro e le forze sindacali per verificare l'esatta applicazione della legge regolatrice del diritto di sciopero in questo "settore" (sent. n. 32/1991). C. - L'art. 3 della Costituzione recita al primo comma: Tutti i cittadini hanno pari dignita' sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Il predetto comma appare violato, per ambedue i principi enunciati, da quegli articoli della legge n. 146/1990, per i quali questo giudice, con la presente ordinanza, solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale. Invero, il lavoratore che - per motivi ideologici o pragmatici - nell'esercizio positivo del diritto di liberta' sindacale si iscrive ad una organizzazione sindacale non maggiormente rappresentativa e quindi non ammessa alla contrattazione collettiva, o che, nell'esercizio negativo del predetto diritto, non si iscrive ad alcuna organizzazione sindacale, e' obbligato, in casi di sciopero nei servizi pubblici essenziali, ad effettuare quelle prestazioni che sono ritenute indispensabili non, direttamente e concretamente, dalla legge, bensi' da accordi concordati da OO.SS., alle quali non e' iscritto. Pertanto, il predetto lavoratore - che ha modellato la sua condotta all'esercizio, in un senso o nell'altro, di un diritto, quello della liberta' di associazione sindacale tutelato dalla Costituzione - viene leso nella sua dignita' personale e sociale, perche', obbligandolo all'osservanza di una normativa contrattuale alla quale e' completamente estraneo, non gli viene riconosciuta, come sarebbe stato doveroso, l'effettiva diversita' di condizioni personali e sociali, garantita dalla Costituzione. Quanto sopra detto con riferimento al principio della pari dignita' sociale ha valore anche per il correlato principio della eguaglianza di fronte alla legge. Ha sostenuto la Corte costituzionale che il principio della eguaglianza non va inteso nel senso che il legislatore non possa dettare norme diverse per regolare situazioni che ritiene diverse adeguando la disciplina giuridica agli svariati aspetti della vita sociale (per tutte, sentenze nn. 3/1957, 64/1963). Il principio di eguaglianza, cioe', non deve essere inteso in senso meccanico e livellatore, perche' sussiste la possibilita' di emanare norme differenziate quando la disparita' sia fondata su presupposti logici ed obiettivi che ne giustifichino razionalmente l'adozione (sentenze nn. 68/1961, 7/1963, 168/1963, 39/1964, 40/1965). E non ve' dubbio che gli opponenti di cui al presente giudizio si trovano in una situazione notevolmente differenziata, nella forma e nella sostanza, rispetto a quella propria dei lavoratori iscritti alle OO.SS. stipulanti e, pertanto, possono essere obbligati, in caso di sciopero nei servizi pubblici essenziali, ad effettuare determinate prestazioni solamente se il loro contenuto e' determinato direttamente da una fonte istituzionale (la normazione primaria o, come detto sub B) quella secondaria), ma non da un procedimento, quello dell'art. 2. secondo comma, nel quale non assumono, in alcun modo la veste di parte. La complessita' delle motivazioni addotte a sostegno dei dubbi di legittimita' costituzionale delle norme, come in precedenza precisate, della legge n. 146/1990, impongono a questo giudice di prendere in considerazione, per completezza della prospettazione, anche tre eventuali ulteriori obiezioni, che al riguardo possono essere sollevate. E precisamente una di carattere generale (la prima) e le altre con riferimento ad alcune pronunzie della Corte costituzionale. 1. - L'art. 2, legge n. 146/1990 trova la sua legittimita', formale e sostanziale, nel rinvio di cui al precedente art. 1. L'obiezione non puo' essere considerata pertinente, in quanto i rinvii che in un testo legislativo vengono effettuati da un articolo ad altro articolo, da un comma ad altro comma dello stesso o di altro articolo rispondono semplicemente alle esigenze di una corretta tecnica legislativa. Ne consegue che, al di la' dell'aspetto formale del procedimento tecnico utilizzato, la legittimita' della norma di rinvio e' subordinata alla legittimita' della norma alla quale si rinvia, e quando quest'ultima appare viziata da illegittimita' costituzionale (come in precedenza detto) altrettanto viziata appare la norma di rinvio. 2. - I contratti collettivi e gli accordi, anche se non stipulati in conformita' all'art. 39 della Costituzione, di fatto estendono la loro efficacia a tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto o l'accordo si riferisce, in forza di quel consenso che e' a fondamento della consuetudine (Gestattungstorie). Questa obiezione non puo' essere accolta perche' l'osservanza di fatto di un contratto od accordo da parte dei lavoratori non iscritti alle OO.SS. stipulanti non comporta, di per se' stessa, l'efficacia erga omnes del contratto o dell'accordo, giacche' le norme costituzionali al riguardo si pongono come limiti interni ed esterni insuperabili e giuridicamente vincolanti, anche nei confronti della consuetudine. Se e' vero, come affermato dalla Corte costituzionale, che la legge n. 93/1983 ha operato un "delicato bilanciamento" tra diversi interessi costituzionali (principio della contrattazione collettiva, dell'autonomia legislativa regionale e riserva di legge statale), conferendo agli accordi collettivi tra amministrazioni pubbliche e sindacati "un particolare valore ed una specifica efficacia direttiva, consentendo agli stessi di assolvere alla complessa funzione politica e costituzionale loro demandata" (sent. n. 1001/1988), e' altrettanto vero che il predetto "bilanciamento" riguarda unicamente i rapporti tra OO.SS. e pubblica amministrazione, tra Stato e regioni, ma non e' assolutamente in grado di attribuire efficacia erga omnes agli accordi non stipulati in conformita' alle norme costituzionali, perche', se cosi' fosse, anche la legge n. 93/1983 sarebbe il legittima nelle parti con le quali, in modo surrettizio, conferisce tale efficacia ai predetti accordi. 3. - La Corte costituzionale ha affermato che la legge n. 146/1990 "affida alla responsabilita' delle parti sociali, in un definito quadro procedurale, la tutela delle situazioni costituzionalmente garantite, in ragione delle quali soltanto puo' essere limitato l'esercizio del diritto di sciopero" (sent. n. 57/1995): pertanto sarebbero legittimi gli artt. 1 e 2 della predetta legge, anche nelle parti di cui questo giudice sospetta l'illegittimita'. La tesi della Corte e' pienamente condivisibile in relazione, pero', al solo contesto nell'ambito del quale e' stata enunciata, cioe' nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 4, legge n. 146/1990 in relazione agli artt. 3, 24 e 39 della Costituzione, a conclusione del quale la Corte ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 4, secondo comma, della legge predetta, nella parte in cui non prevede che la sospensione dei benefici di ordine patrimoniale ivi prevista avvenga su indicazione della commissione di cui all'art. 12 e la illegittimita' costituzionale dell'art. 13, lettera c), nella parte in cui non prevede che la segnalazione della commissione sia effettuata anche ai fini previsti dal secondo comma dell'art. 4. Non possono, pero' essere condivise le conclusioni che erroneamente potrebbero dedursi dalla tesi della Corte, la quale e' riferibile ad un momento procedimentale che, come si legge nella parte motiva, "risponde - prima ancora che ad una esigenza di imparzialita' e di buon andamento - alla stessa ratio legis, in quanto idoneo a scongiurare un possibile conflitto tra organizzazioni sindacali e datori di lavoro", ma non puo' trovare applicazione nella questione di legittimita' sollevata da questo giudice, la quale ha per oggetto altri articoli della legge n. 146/1990 ed e' prospettata con una angolazione totalmente diversa da quella sulla quale si fonda la citata sentenza. Inoltre, non si puo' non sottolineare che dal complesso della problematica affrontata dalla Corte nella motivazione emerge chiaramente che l'espressione usata (tutela delle situazioni costituzionalmente garantite, in ragione delle quali soltanto puo' essere limitato l'esercizio del diritto di sciopero) si riferisce esclusivamente ai rapporti tra datori di lavoro ed associazioni sindacali. Si legge, infatti, sempre nella parte motiva, che "il coinvolgimento dei soggetti interessati ed il momento di partecipazione che ne deriva si pongono come fase indefettibile di un procedimento che puo' concludersi abilitando il datore di lavoro ad applicare una misura afflittiva". Risulta evidente, pertanto, che la tutela delle situazioni costituzionalmente garantite cui si riferisce la Corte nella citata sentenza, e' completamente estranea all'oggetto della presente ordinanza, con la quale si sollevano dubbi sulla legittimita' costituzionale di determinate norme con le quali si vorrebbe perseguire il contemperamento dell'esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla liberta' ed alla sicurezza, alla liberta' di circolazione, all'assistenza e previdenza sociale, all'istruzione ed alla liberta' di comunicazione. E questo contemperamento non puo' essere affidato alle parti sociali nell'accezione usata dalla Corte costituzionale nella citata sentenza, perche' ricomprende soltanto i soggetti che stipulano l'accordo e non anche gli utenti dei pubblici servizi, per i quali e' prevista soltanto l'audizione. In un regime democratico, quale e' quello del nostro paese, soltanto gli organi costituzionali che rappresentano la volonta' popolare (il Parlamento, direttamente, ed il Governo, indirettamente, secondo l'attuale ordinamento della Repubblica) possono realizzare la tutela delle situazioni costituzionalmente garantite (il diritto di sciopero ed il godimento dei diritti della persona) con una normativa primaria o secondaria rispettosa dei principi fondamentali e dei diritti e doveri dei cittadini, quelli relativi sia ai rapporti civili che ai rapporti etico-sociali, di cui alla Carta costituzionale. La questione di legittimimita' costituzionale sollevata d'ufficio con la presente ordinanza e' rilevante, in quanto pregiudiziale ai fini della decisione, perche' l'eventuale declaratoria di incostituzionalita' escluderebbe la responsabilita' degli opponenti in ordine all'illecito amministrativo loro addebitato.